Che ne è stato di moonmusic?

Come si dice? “Ben ritrovati?” Inizio specificando che questo anomalo post non ha alcuna immagine: solo parole. Le parole sono importanti, a volte – quindi meglio dare loro spazio. Il suo scopo è spiegare che fine abbia fatto moonmusic negli ultimi mesi, e soprattutto perché. Ci provo, se avrete la pazienza di seguirmi.

Un lungo silenzio

moonmusic, in particolare questo sito, è nata negli ultimi mesi del 2018. L’idea in realtà risale a moltissimo tempo prima. Onestamente, non ricordo più quando iniziai a concepirla.

Era un’idea semplice, ma ambiziosa da realizzare e difficile da strutturare. Dopo anni di lavoro nel campo della produzione musicale, sentivo il bisogno di allargare l’orizzonte: produrre musica e non mettere in atto strategie per farla arrivare alle persone è un’operazione monca. Iniziai a pensare che avrei davvero voluto aiutare almeno alcuni artisti a diffondere il loro lavoro. Il problema era che non sapevo come fare, e soprattutto sapevo che non sarei mai stato in grado di farlo da solo: la fatica è improba, l’impegno infinito.

Non è una questione di genere

Il genere musicale non è importante, per me. Posso passare da una delicata ballata acustica al rock più duro nell’arco di pochi minuti, attraversando mille generi diversi. Per lungo tempo ho creduto di essere semplicemente onnivoro, ma negli ultimi anni mi sono invece accorto che applico un criterio di selezione. Il criterio riguarda la sostanza, non la forma. Sono attratto da musica che rifletta ciò che ci circonda, a qualsiasi livello, talvolta in maniera sottile. Se la musica che ascolto non è attraversata dallo “Zeitgeist”, lo spirito del tempo presente, non riesco quasi mai a trovarla interessante.

Un esempio. Recentemente ho riascoltato un album risalente all’inizio degli anni ’80 che all’epoca mi fece letteralmente svoltare. È stato forse l’album più importante della mia crescita musicale, e lo conosco così bene in ogni dettaglio che non lo ascolto ormai più. L’ho ripreso, non so neppure io perché, e rimane il capolavoro che ho sempre conosciuto: ma, ahimè, non ha retto alla prova del tempo. Quasi quarant’anni dopo, suona inevitabilmente datato. Non mi riferisco tanto ai suoni, ma ai concetti, al messaggio e a come questo viene veicolato. È come se quelle canzoni non significassero più quasi nulla. Questo è comprensibile, per tanti motivi, ma fa anche riflettere. Quel che è certo è che mi ostino a cercare musica che tra quarant’anni (tranquilli, io non ci sarò!) porterà ancora il messaggio originale, intatto. Perché so che quella musica esiste.

Un anno e qualcosa fa

Più di un anno fa misi in piedi moonmusic perché avevo trovato sponda in Laura, che decise di investirci del tempo con me. E così è stato – come è testimoniato dagli articoli e dalle interviste che insieme abbiamo realizzato e pubblicato per qualche mese. Laura, però, dopo circa sei mesi si rese conto che moonmusic non poteva essere la sua strada. Non fu un passaggio doloroso: mi dispiacque, ma sono convinto che la cosa peggiore che si possa fare per se stessi sia obbligarsi a proseguire su un sentiero che non convince. Non avrei mai insistito. Semplicemente, accettai il fatto che l’esperimento non avesse funzionato. Le sarò in ogni caso eternamente grato per avere smosso le acque in cui la mia idea ristagnava, a prescindere dall’esito dell’operazione. Il risultato fu che lei fece un passo indietro e io sostanzialmente mi fermai.

In realtà non mi fermai del tutto: continuai a portare avanti i progetti a cui stavo lavorando, assieme a Gianni Maroccolo, Giulio Casale, i Deproducers e occasionalmente qualche altro artista. Peraltro, in quel frangente sarebbe stato impensabile investire ulteriore tempo ed energie su altre collaborazioni per strutturare meglio l’attività. Quello era il piano originale, ma sarebbe stato irrealizzabile in tempi brevi.

Le sorprese nascoste

La realtà non si muove mai in maniera prevedibile, e a volte trovi una cosa mentre ne stai cercando un’altra. Nelle settimane successive allo stallo che si era creato, iniziarono ad accadere eventi che non avrei potuto prevedere. Di uno ho parlato: la realizzazione della foto del retro copertina di “Lucio!!”, l’album dal vivo pubblicato da Ron. Poche settimane dopo entrai in contatto con Cesare Malfatti, membro dei La Crus, che mi parlò dei suoi progetti solisti. All’altezza dell’estate, il giornalista e scrittore Mirco Salvadori (che conoscevo bene dal progetto “Alone” di Marok) mi scrisse dicendomi che un certo Flavio Ferri avrebbe avuto piacere di parlarmi. “Quello dei Delta V?”, chiesi un po’ incredulo. Proprio lui.

Ci parlammo, infatti. Dopo un’ora al telefono, mi inviò un link ai brani di un album ancora non concluso che stava producendo. Lo ascoltai e finii sotto la scrivania: s’intitolava “Non ci prenderanno mai”, di tale Olden, un artista di talento smisurato che – mea culpa – non conoscevo. Uscirà tra una settimana esatta da oggi, il 21 febbraio 2020, con un titolo diverso che nasconde una piccola parte di me: “Prima che sia tardi”. Olden e Flavio non erano del tutto convinti che il titolo fosse quello giusto. Flavio mi propose una seconda ipotesi e mi chiese: “Perché non scegli tu?” Detto, fatto. Una sera scrissi d’istinto una presentazione artistica dell’album e gliela passai. Senza accorgercene, avevamo iniziato a lavorare insieme. A settembre andai a trovarlo in mezzo alla nebbia dell’Appennino, e dopo una mattinata di parole e sigarette fu chiaro che avremmo collaborato in qualche modo. Non serve dirsi certe cose, si sanno e basta. (Nel frattempo, se vi va, date un’occhiata al video di “Aquilone”, primo singolo di Olden dal nuovo album: qui.)

E poi l’electro-pop (per modo di dire)

Poco tempo dopo venni a sapere che Flavio avrebbe prodotto i mix del prossimo lavoro di Ottodix, che pure mi aveva contattato qualche mese prima, proprio nel momento in cui moonmusic si era bloccata. Avevo lasciato perdere, all’epoca. Ora però c’era una rete invisibile che stava venendo a galla e si manifestava, e la cosa mi sorprendeva e mi prendeva in contropiede – ma mi faceva anche sorridere. Contattai Ottodix, che mi mandò i premix di “Entanglement” (sarà pubblicato tra un mese circa). Rimasi molto colpito dal mix ricchissimo di elementi scientifici, emotivi, sociali e politici che l’album portava avanti con coraggio, incurante dell’etichetta (chissà poi perché negativa) di “electro-pop”, comunque riduttiva. Arte figurativa, musica, parole, filosofia, pensiero: tutto assieme. Ovvio che mi avrebbe stimolato. Prevedibilmente, io e Ottodix finimmo in un’osteria di Treviso a lanciarci storie e idee inframmezzate da: “Ma perché non…? E se fosse che…? Ma cosa penseresti di…?” 

Nel corso dei mesi, scoprii anche che Sabrina, la stagista che mi stava affiancando in studio da un po’, era interessata ad approfondire alcuni aspetti di quella che, in maniera generalista, chiamerei comunicazione nel campo dello spettacolo. Qualcuno stava forse salendo a bordo per darmi una mano? Sembrava di sì.

A long story, short

Per non rendere insopportabilmente lunga la storia, cerco di riassumerla in maniera iper-sintetica. Siamo a metà febbraio 2020 e in questo momento si stanno concretizzando collaborazioni in parte “sperimentali” ma assai promettenti con tutti gli artisti che ho menzionato, oltre a qualche altro di cui avrò modo di parlare. La base di partenza è la sintonia d’intenti tra me e loro: senza quella non entrerei in nessun progetto – non importa quanto prestigioso. Sono arrivato a un punto della vita in cui non sento il bisogno di dimostrare niente a nessuno: ciò che ho fatto è visibile, ciò che so fare mi è chiaro – così come ciò che non so fare. Quindi forse è l’ora di mettere sul piatto ciò che sono e andare avanti davvero.

I rapporti in essere, quelli “storici” con Gianni Maroccolo, Giulio Casale, i Deproducers, si sono rinforzati e hanno aperto nuove prospettive. La filosofia di fondo rimane la stessa, unica e sola: inseguire e perseguire la Bellezza. Non quella estetica, ma quella ben più profonda che non sono in grado di descrivere. La Bellezza come la intendo non ha forma, ma ha sostanza. Si può declinare in migliaia di modi diversi, ma non perde la sua identità.

Dunque?

Lo scopo ultimo di questo post è essenzialmente quello di lanciare un segnale: no, non abbiamo smesso. Io, in particolare, non ho smesso. Procedo serenamente, anche perché le cose dopo qualche anno mi appaiono più facili grazie a un’aumentata confidenza e conoscenza degli artisti che ho la fortuna di affiancare, nonché a lunghe riflessioni su cosa io voglia davvero fare (o non fare). E grazie alla rete invisibile, sì. Quella che mi ha portato nelle ultime settimane a salutare Ron nell’ultima data del tour dedicato a Lucio Dalla (e grazie sempre, doverosamente, a Luca Archetti che mi accoglie); a incrociare i formidabili Life In The Woods; a tornare un paio di volte a suonare in pubblico con i Cavalieri Erranti, dei quali ho prodotto un album; ad accompagnare sul palco Riccardo Sinigallia in una splendida serata di musica e parole voluta e organizzata dagli amici di Uglydogs a Mussolente (VI); a iniziare a collaborare con Contempo Records dopo diversi anni di amicizia, e con VRec Music Label dopo pochi; a parlare a lungo una sera con Carlo Bertotti e Martina Albertini, gli altri due terzi dei Delta V, del senso del loro spettacolare album “Heimat”; insomma – ad arricchirmi.

Non scriverò un post al giorno

Non credo che moonmusic possa diventare un sito su cui pubblicherò (o pubblicheremo, chissà) un articolo al giorno, perché ho lo scopo è dare visibilità alle iniziative che ritengo valide, e che – pur diversissime – sono legate da un filo rosso comune. Che è sempre quello: la Bellezza, se preferite la Qualità intesa nel senso delineato da Robert Pirsig. Purché ci sia uno scavo reale, un confronto con ciò che mi e ci circonda, perché sono convinto che questo possa condurre a una consapevolezza più profonda e, in ultima analisi, aiutare. Stasera Gianni Maroccolo mi ha chiamato e abbiamo discusso a lungo di progetti futuri (ma imminenti) e del mio possibile ruolo. Di Bellezza ce ne sarà a fiumi, ve lo assicuro – con me o senza di me. Non è una gran cosa?

La musica non è una faccenda secondaria. L’ho sperimentato troppe volte: parla alle persone come nessun’altra arte è in grado di fare, bypassando i circuiti di protezione emotiva che quotidianamente mettiamo in campo. Fino a che avrò fiato, è mia intenzione proteggerne l’integrità e aiutarla a farsi sentire, perché se guardo indietro alla mia storia personale è stata la musica a salvarmi, molte volte, da situazioni che avrebbero potuto portarmi molto più disagio. Se lei non ci fosse stata, intendo.

Non sono sicuro, ma

Non sono sicuro di poter dire che la musica mi abbia dato tutto questo senza chiedere niente. Anzi, molte volte penso che si sia presa tutto di me, la maledetta. Visti però i risultati, in termini di rapporti umani, incontri e osmosi tra pensieri di teste diverse che però puntano nella stessa direzione, non credo di potermi lamentare.

Quindi, in due parole: io riparto.

A presto: ci ritroveremo qui, e soprattutto out there, là fuori, in una piazza, un locale, un luogo in cui potremo ascoltare le nostre voci vere, scambiarci pensieri guardandoci e poi andare avanti – un po’ più compiuti, un po’ più completi. Ricordate David Bowie: “The Music is Outside”. Aveva già detto tutto.

L’ultimo grazie, senza alcuna retorica, va a tutti coloro che (mi) hanno aspettato. Un tempo lungo, lo so. Sono però convinto che l’attesa abbia un suo valore, e che in retrospettiva apparirà come una preparazione a qualcosa che – mi auguro – sarà davvero interessante.

“Ci si”, come dice Marok.

MO